Scienziati giapponesi sono stati in grado di far nascere dei topolini da due padri
In un laboratorio in Giappone sono nati per la prima volta dei cuccioli da due topi maschi! Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla famosa rivista scientifica Nature e tutti gli addetti ai lavori hanno commentato la notizia come una cosa letteralmente “rivoluzionaria”.
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Se state già pensando alla possibile applicazione dello stesso metodo anche per la razza umana però, siamo lontani dal poterlo fare. Almeno per ora. Ci sono una serie di ostacoli difficili da superare al momento e il tasso di successo sarebbe troppo basso. Senza considerare lo scoglio insormontabile delle questioni etiche che attualmente mettono sempre un freno a studi di questo tipo. Ma in futuro chissà, con l’avanzamento della tecnologia anche la mentalità delle persone potrebbe avanzare in tal senso.
Questo studio, se approfondito, potrebbe portare prima o poi alla possibilità che l’uomo possa procreare senza bisogno di un maschio e una femmina. Pensate che risvolto avrebbe ad esempio per le coppie gay o per i single che vogliono dei figli naturali. Sarebbe la soluzione ai molti problemi che attualmente devono affrontare, soprattutto se vivono in paesi dalla mentalità arretrata e ancora bigotta.
Questo studio che rivoluziona il concetto stesso di “riproduzione” arriva da un gruppo di scienziati giapponesi sotto la direzione di Katsuhiko Hayashi, un biologo dello sviluppo dell’Università di Osaka e del Kyushu. Hayashi e i suoi colleghi sono riusciti a replicare il processo di formazione naturale di ovuli femminili anche nelle cellule maschili. Allo stesso modo di quelle umane, le cellule dei topi maschi hanno sia il cromosoma Y che X, mentre quelle delle femmine hanno due cromosomi X. I ricercatori sono riusciti a trasformare delle cellule di topi maschi, in cellule staminali indotte che possono svilupparsi in qualsiasi altra cellula, anche in quella femminile adibita alla creazione di un ovulo.
Con l’aiuto di una cellula antagonista chiamata reversine, sono poi riusciti a replicare il genoma X nelle cellule maschili, creando così il set XX. Su 630 tentativi fatti dal team di ricerca, sono nati 7 topi, il che rappresenta una percentuale di successo di poco più dell’1%. Un po’ bassa per le statistiche ma i cuccioli nati sono tutti sani, non mostrano alcuna anomalia e sono fertili. Per essere solo l’inizio è comunque un successo, dimostra che il metodo funziona.
Il prof. Hayashi ha presentato i risultati della sua ricerca durante il terzo vertice internazionale sul genoma umano che si è tenuto a Londra questa settimana. Ha ovviamente avvertito che rimangono moltissimi ostacoli da superare prima che questa tecnologia possa essere applicata agli esseri umani. Ma che prima o poi potrebbe essere fattibile, pur sottolineando che esiste una enorme differenza tra un topo e un essere umano.
Nitzan Gonen, il direttore del laboratorio per la determinazione del sesso presso l’Università israeliana Bar-Ilan, ha dichiarato all’AFP che lo studio è “rivoluzionario”. Pur avvertendo che c’è ancora molta strada da percorrere in questo senso.
“Teoricamente questa tecnica potrebbe consentire veramente a delle coppie dello stesso sesso di avere un figlio. Nel caso di un uomo single poi, questo potrebbe anche essere in grado di fornire sia lo sperma che l’ovulo. Sarebbe simile alla clonazione, con un nuovo individuo che ti somiglia ma non è una tua copia. Il processo comunque attualmente è estremamente inefficiente, dato che il 99% degli embrioni di topo usati non è riuscito a sopravvivere.”
La gravidanza di un topo dura solo tre settimane, mentre quella degli umani nove mesi. In tutto questo tempo ci sarebbero molte più possibilità che qualcosa vada storto ovviamente. Se dovesse fare un’ipotesi, Gonen ha stimato che:
“Scientificamente parlando, questa tecnologia potrebbe essere disponibile per gli esseri umani entro 10-15 anni. Tuttavia, questo tempo non include quello necessario per affrontare le questioni etiche che sicuramente sorgerebbero. Il fatto che possiamo fare qualcosa, non significa necessariamente che vogliamo farlo. Specialmente se parliamo di un essere umano”.
Anche Jonathan Bayerl e Diana Laird, esperti di riproduzione e cellule staminali dell’Università della California, hanno avuto dubbi sull’applicazione futura sull’uomo. Il fatto che la procedura possa funzionare o meno anche con le nostre cellule staminali, deve ancora essere chiarita. Tuttavia, sostengono che questa ricerca è “una pietra miliare nella biologia riproduttiva”, come anche scritto sulla rivista Nature. Secondo il rapporto finale, una possibile applicazione futura di questo studio potrebbe essere molto più realisticamente quella di salvare una specie in via di estinzione. Nel caso fosse rimasto in vita soltanto un esemplare maschio.
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