La piaga del ‘corona-bullismo‘ in Giappone
Il numero di persone vaccinate che risiedono in Giappone si sta avvicinando ormai all’80% della popolazione. E i casi di Covid sono diminuiti drasticamente nelle ultime settimane. Ma ormai da tempo si è riscontrato un nuovo problema, tipicamente giapponese, direttamente correlato alla pandemia: la piaga del ‘corona-bullismo‘ in Giappone.
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Si sa che il bullismo (ijime) in generale in Giappone è un problema che colpisce da tempo bambini e ragazzi in età scolare. Da un annetto a questa parte è sbucato fuori un nuovo tipo di ijime, legato alla pandemia di Covid-19. L’incredibile “corona-bullismo”.
Da quando il coronavirus è arrivato in Giappone, la paura e il pregiudizio hanno portato molte persone ad additare, evitare ed emarginare chi è sospettato di avere il virus o di averlo avuto. Questa cosa capita soprattutto nelle scuole ma anche negli ambienti lavorativi e familiari. Portando molti soggetti deboli psicologicamente addirittura al suicidio.
A bambini tornati a scuola (o dipendenti in azienda) dopo aver avuto il coronavirus o contatti con un positivo, capita di essere aggrediti verbalmente dai compagni:
“Stai lontano da me, non avvicinarti, non toccarmi”.
Spesso succede che chi viene anche solo “sospettato” di essere positivo, venga escluso dalle conversazioni o addirittura ignorato dagli altri:
“Non giocherò con lui/lei perché i suoi genitori sono operatori sanitari o lavorano in strutture assistenziali”
Un bambino ha raccontato che qualcuno ha attaccato un foglio di carta sulla porta di casa sua con su scritto: “Qualcuno in questa famiglia ha il coronavirus.”
“Sono stato trattato come un germe dagli altri bambini della mia scuola perché venivo da una città con molte persone infettate dal virus.”
Vivere nella paura di contagiarsi è già abbastanza duro. In più affrontare anche questo genere di bullismo e discriminazione può essere schiacciante per alcuni soggetti deboli. E infatti molti bambini e ragazzi nell’ultimo anno e mezzo hanno smesso di andare a scuola o peggio, si sono tolti la vita.
Episodi di ‘corona-bullismo‘ in età scolare
Di seguito alcune storie di veri casi di bullismo e discriminazione da fobia da coronavirus. Una madre di due bambini di 14 e 10 anni ha raccontato:
Mio marito ha contratto il Covid e, anche se tutta la famiglia era a stretto contatto con lui, l’ha passato solo a mia figlia maggiore, studentessa delle medie. I suoi sintomi erano lievi. Così, dopo essere rimasta a casa due settimane, è guarita e tornata a scuola. Quando i suoi compagni l’anno vista arrivare hanno tutti gridato spaventati: ‘Oh mio Dio, è tornata!’ Da allora non si sono più avvicinati a lei.
Un’altra madre ha descritto in dettaglio perché suo figlio ha voluto smettere di frequentare le elementari:
Mio figlio non andava a scuola perché uno dei suoi compagni di quinta elementare ha contratto il Covid. Questo ha fatto circolare una strana voce tra gli altri bambini come se fosse stato lui stesso contagiato. Quando dopo la quarantena è tornato a scuola lo hanno tutti ignorato e più volte gli hanno gridato: ‘non toccarmi’. Da allora non ha voluto più frequentare e adesso studia a casa.
Una madre di una bambina di 7 anni invece ha raccontato:
Mia figlia aveva mal di gola ed è stata assente per tre giorni da scuola. Quando è tornata è stata accusata di avere il Covid e alcuni bambini hanno iniziato a urlare: “Era il corona, vero? È corona! Corona! Corona!” Hanno così cominciato a parlare alle spalle di mia figlia e ad emarginarla. Lei mi chiede cosa fare e io le rispondo di comportarsi normalmente. Ma è molto triste perché nessuno vuole più giocare con lei.
Episodi di discriminazione sul posto di lavoro e in famiglia
Il problema del corona-bullismo, come già accennato, non è limitato solo ai bambini in età scolare. La discriminazione sembra verificarsi spesso anche tra gli adulti al lavoro, amici e parenti.
Una semplice impiegata ha raccontato:
Mio marito ha avuto il coronavirus. E’ stato in ospedale per alcuni giorni e poi è rimasto a casa. Io ho preso una pausa dal lavoro per assisterlo fino alla guarigione. Dopo di che ho fatto un test PCR negativo e sono tornata al lavoro anch’io. Ho spiegato la situazione al mio capo ma il pettegolezzo era già iniziato. Quando una volta ho tossito mi ha urlato: ‘Ehi! Non diffondere il Covid!’. Poi mi hanno chiesto di pulire la fotocopiatrice con un disinfettante tutte le volte che la usavo. Volevo solo sparire. Ora sto seriamente valutando un trasferimento.

Questo nonostante non abbiano contratto il coronavirus. La suocera ha detto più volte alla nuora di stare lontana da lei e di spruzzare tutto con il disinfettante all’arrivo a casa. E di non fare mai il bagno prima di lei, l’acqua della vasca da bagno è spesso condivisa nelle famiglie in Giappone. E anche di cucinare separatamente. Tuttavia, la nuora dice che ci sono state delle eccezioni e contraddizioni in queste regole:
Mia suocera è indulgente con i suoi nipoti che vanno all’asilo. Inoltre non segue lo stesso protocollo di disinfezione che fa fare a me quando è lei a tornare a casa dalla spesa o dal parrucchiere.
Ok, sicuramente il rapporto tra le due donne era teso già prima dell’arrivo del coronavirus. Vivendo nella stessa casa poi (errore madornale), è normale che si creino attriti tra suocere e nuore. E il Covid ha inevitabilmente peggiorato una situazione già difficile.
Fonte: @japaninsider
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