Hikikomori: quando la tua stanza è la tua prigione volontaria
Hikikomori 引き籠もり è un termine giapponese coniato dallo psichiatra Tamaki Saito nel 2000, anche se i primi casi di questa sindrome sono stati riscontrati già a fine anni 80′. Questa parola è l’unione del verbo hiku 引く(tirare indietro) e komoru こもる (ritirarsi) e quindi è traducibile come stare in disparte, auto-isolarsi. Parliamo del fenomeno hikikomori, quando la tua stanza è la tua prigione volontaria.
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Questa sindrome si manifesta con un rifiuto parziale o totale del paziente, è una vera e propria malattia psicologica, delle attività sociali, dentro e fuori la propria abitazione. Fino ad arrivare all’estremo isolamento protratto per mesi, o nei casi peggiori, addirittura per anni.
Il profilo tipico di un hikikomori è quello di un adolescente maschio con problemi di integrazione sociale e senza attività scolastiche o lavorative nel suo quotidiano. Ci sono anche ragazze hikikomori ma il loro numero è minimo rispetto ai ragazzi. Talmente minimo da non rientrare nelle statistiche che studiano questo fenomeno in Giappone, pur essendo in preoccupante aumento negli ultimi anni.
La pandemia da una parte ha aggravato la situazione di chi stava cercando di combattere l’isolamento, convincendolo ancora di più che la scelta di chiudersi in casa era giusta. Dall’altra invece c’è anche chi ne ha giovato. Come ad esempio gli studenti hikikomori che, grazie alla DAD, hanno potuto seguire le lezioni che normalmente non avrebbero frequentato. Oppure chi, grazie allo scudo delle mascherine e al fatto che in giro c’era pochissima gente, si è sentito più tranquillo ed è riuscito ad uscire.
L’anime Welcome to the NHK
Per avere uno spaccato molto realistico e completo del fenomeno hikikomori in Giappone, consiglio una geniale serie d’animazione del 2006 che tratta a 360 gradi l’argomento: Welcome to the NHK
Il film coreano Castaway on the Moon
Sull’argomento hikikomori esiste anche un bellissimo film coreano intitolato Castaway on the Moon. Protagonista Seung-geun, un uomo economicamente sul lastrico che, appena uscito da una storia andata male, tenta di suicidarsi gettandosi da un ponte di Seul sopra il fiume Han. L’uomo approda però, ancora vivo, su una piccola isola disabitata. Una volta lì, non sa come chiamare aiuto: non sa nuotare e ha il cellulare scarico. Presto cominciano a salire i morsi della fame, e Seung-geun, costretto oramai a sopravvivere, deve trovare una soluzione. L’isola, inoltre, sembra non essere totalmente disabitata…
Quali fenomeni causano la sindrome hikikomori?
Il primo hikikomori documentato risale al 1988, quando il termine usato attualmente era ancora sconosciuto. La malattia ha avuto la sua origine in Giappone un paese che, come è noto, dà priorità ai bisogni comuni rispetto a quelli individuali. E in questo caso la cosa gioca un ruolo basilare. Una società in cui è normale usare quotidianamente una doppia faccia, che annulla il proprio io individuale, è l’ambiente ideale per questo tipo di disagio psicologico. I giapponesi sono soggetti a una grande pressione sociale fin dall’infanzia ad opera dei genitori. E questa continua poi per tutta la vita. Si passa infatti dalla sfera scolastica, a quella lavorativa e sociale e infine coniugale.
Non possiamo dire che sia la cultura giapponese stessa la causa diretta di questa malattia. Anche se ha avuto origine in Giappone, le statistiche mostrano come anche in altri paesi nel mondo negli ultimi anni si sono verificati sempre più casi di hikikomori. Nord America e nord Europa sono i più colpiti.
Anche in Italia il fenomeno sta pericolosamente aumentando. Alcune stime non ufficiali del 2019 (pre-pandemia), riportano almeno 100.000 casi nostrani di hikikomori. Quel che è certo è che chi ne soffre vive prevalentemente a nord, ha in media 20 anni ed è di sesso maschile. Questi primi dati statistici sono stati raccolti da Marco Crepaldi presidente dell’associazione Hikikomori Italia che si occupa dello studio del fenomeno nel nostro paese. Per approfondire l’argomento vi rimando al suo libro Hikikomori. I giovani che non escono di casa
La disinformazione delle famiglie è il primo fattore di rischio
In Giappone la reazione tipica dei genitori che scoprono di avere un hikikomori in casa è quella di aspettare. Nonostante si rendano conto che l’adolescente non riesce o non vuole tornare da solo alla socialità, le famiglie spesso pensano che questa malattia appartenga a una fase legata alla giovane età. E che magari col tempo passerà da sola. Approccio sbagliatissimo.
A tutto questo si aggiunge il fatto che nella società giapponese avere un figlio hikikomori è motivo di imbarazzo e vergogna per i genitori. Ciò è dovuto anche alla credenza popolare secondo la quale chi soffre di questa malattia ha anche una scarsa istruzione. E per questo che i familiari di un hikikomori in Giappone spesso non cercano aiuto esterno fino a dopo almeno 3 anni che persiste l’isolamento. A causa di questo e di molti altri fattori, la disinformazione delle famiglie è considerata il più grande pericolo in questa malattia.Nei paesi occidentali invece la reazione tipica dei genitori di un hikikomori è quella di cercare di costringere il ragazzo a reintegrarsi nella società con la forza. Aggravando nella maggior parte dei casi la fobia sociale. Anche l’idea che questa malattia sia strettamente correlata alle nuove tecnologie è molto popolare. In realtà la tecnologia è un mezzo che queste persone usano per intrattenersi o relazionarsi virtualmente durante il loro isolamento volontario.
Cosa succederebbe nel caso in cui un hikikomori non avesse Internet o dei videogiochi disponibili? Potrebbe sempre ricorrere a vecchie forme di intrattenimento come film, serie o letture. Non dimentichiamo che i primi hikikomori sono della fine degli anni 80′, periodo pre-internet. Perciò non si può dire che sia la tecnologia la causa della nascita degli hikikomori. Magari può aver incrementato il loro aumento negli ultimi anni, soprattutto grazie alla rete presente ormai in tutte le case. Ma essa rimane semplicemente un mezzo, usato per rendere più sopportabile l’isolamento sociale autoimposto di queste persone.
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