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Cos’è la parola giapponese “Mottainai“?
Quando si tratta di pratiche eco-compatibili nel 21° secolo forse non c’è fonte di ispirazione migliore del passato. Dare uno sguardo all’epoca in cui gli oggetti realizzati a mano con risorse naturali venivano usati e riutilizzati è un modo perfetto per ispirare in chiunque il rispetto della natura. Ma cosa significa Mottainai? Di seguito trovate 5 cose sulla filosofia ecologista giapponese.
Basta fare un salto nel Giappone del XIX secolo. Nella città di Edo, centro della politica e della cultura giapponese per quasi tre secoli, anche la classe operaia aveva i mezzi e il tempo libero per godersi il famoso ukiyo, il mondo fluttuante dell’arte popolare, della moda e dell’intrattenimento.
Dati gli eccessi dell’agiato momento storico, è grazie all’arrivo del concetto di mottainai 勿体無い che la società del periodo Edo si diede una ridimensionata. Questo concetto è proprio quello che servirebbe anche alla nostra consumistica società attuale.
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1. Tenere o gettare via? L’ascesa della cultura Mottainai
Prima della nostra attuale dipendenza da plastica monouso, tessuti sintetici e altri articoli dannosi per l’ambiente, si viveva un po’ tutti in un ambiente con consumi più consapevoli. E anche il Giappone, prima degli eccessi del periodo Edo, era abituato a conservare risorse importanti come legno, carta, tessuti e porcellana.
Questo ritorno all’uso intelligente delle cose ha dato origine alla cultura del mottainai 勿体無い, una parola semplice ma potente che può essere tradotta come: “che spreco!” Trasmette perfettamente il concetto di non sprecare l’opportunità degli oggetti di poter ancora mantenere il loro pieno potenziale.
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2. Cultura balneare e conservazione delle risorse naturali
La nascita nel paese del concetto di Sento, il tipico bagno pubblico giapponese, ha inculcato da sempre nei giapponesi l’abitudine di conservare la preziosa acqua e la legna da ardere utilizzata per riscaldarla. Nei bagni pubblici tali risorse venivano consumate contemporaneamente da più persone e quindi non sprecate.E lo stesso succedeva, e succede, nelle case private dove l’acqua calda del bagno viene usata ancora oggi da tutta la famiglia. Ovviamente, questo è possibile grazie all’abitudine giapponese di farsi la doccia prima di entrare nella vasca.La cultura del bagno in Giappone nasce dai rituali purificatori buddisti e shintoisti, nonché dalle proprietà curative delle sorgenti termali, i famosi > Onsen.
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I viaggiatori in pellegrinaggio religioso facevano il bagno sul terreno di santuari e templi per raggiungere la purezza spirituale. Gli infermi e i malati invece cercavano sorgenti termali con delle proprietà specifiche per alleviare i loro disturbi fisici.
L’abitante medio della città di Edo frequentava quotidianamente i Sento (bagni pubblici non termali) e la pratica è continuata nel Giappone moderno. Anche se al giorno d’oggi meno che in passato. Le nuove generazioni preferiscono farsi il tipico bagno rilassante giapponese serale a casa condividendolo in famiglia piuttosto che uscire.
3. Furoshiki: la conservazione degli involucri
Un’altra pratica giapponese molto eco-compatibile che è durata fino ai giorni nostri, è l’uso del > furoshiki. Si tratta di un panno multiuso utilizzato per trasportare, conservare e avvolgere oggetti. La loro diffusione deriva dall’abitudine dei bagnanti degli Onsen e dei Sento di trasportare i loro articoli da toeletta e i vestiti di ricambio avvolti nei furoshiki.
Nel Giappone di oggi, è consuetudine usare il furoshiki per avvolgere le scatole per il pranzo > bento box e persino i regali al posto della carta. Quelli tradizionali continuano ancora oggi ad essere stampati a mano con i metodi yuzen, shibori e hikisome che prevedono l’utilizzo anche di coloranti naturali.
4. Riciclaggio di tessuti e moda
Furoshiki e tenugui non erano gli unici tessuti riciclati ai tempi di Edo. Il > kimono, il capo d’abbigliamento base del periodo, era realizzato a mano in seta poi tinto e ricamato in un intricato processo a più fasi. Questi pezzi fatti a mano erano di grande valore e tramandati di generazione in generazione nelle famiglie.
5. Kintsuji: la guarigione attraverso la riparazione
Forse il metodo di riciclaggio più noto nel Giappone del periodo Edo è il Kintsugi. E’ un metodo molto bello, espressamente filosofico, per riparare le ceramiche rotte utilizzando pigmenti d’oro.
La ceramica e il gres erano beni preziosi nel Giappone del periodo Edo e la sostituzione di oggetti rotti all’interno di una casa era un’impresa molto costosa. Si usava il kintsugi per estendere la vita delle suppellettili apprezzando e valorizzando la fragilità della loro vita con l’oro. Sembra un controsenso dato che l’oro è prezioso più della ceramica, ma così era.
Al giorno d’oggi, il kintsugi è considerato un mezzo artistico per preservare le ceramiche preziose. Si pensa infatti che un oggetto che ha subito una ferita ed ha una storia è più bello a va valorizzato. Oltre ad utilizzare il kintsugi come metodo per guarire un oggetto, possiamo anche trovare la bellezza nel riutilizzare articoli per la casa adattando la mentalità del mottainai e quindi del non sprecare.
L’illuminato periodo Edo giapponese quindi può ispirare molto le pratiche sostenibili ed eco-compatibili al giorno d’oggi. Per allontanarci una volta per tutte dalla terribile plastica monouso e dai tessuti sintetici ed abbracciare la buona abitudine alla conservazione di oggetti e risorse.