5 motivi per NON vivere in Giappone
Pur ovviamente apprezzandolo sotto molti aspetti, è logico che il Giappone non è il paese dei balocchi e, come ogni altro luogo al mondo, ha cose belle e brutte. I lati positivi sono tanti: criminalità bassissima, infrastrutture e trasporti pubblici eccellenti, cibo assolutamente ottimo e a buon mercato in rapporto alla qualità… Ma ha anche dei lati negativi che di solito non si leggono nelle pagine “giappo-fan” o nelle guide turistiche ma con i quali ti scontri soprattutto se in Giappone ci vivi e lavori.
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Dal momento che per amare un paese bisogna necessariamente anche conoscerne i difetti, ecco una selezione di 5 motivi per NON vivere in Giappone. Se voleste approfondire ulteriormente l’argomento, anche in modo più goliardico ma molto interessante, vi consiglio anche 101 motivi per non vivere in Giappone.
1. Cultura del lavoro
Probabilmente avrete già letto o magari visto coi vostri occhi, le conseguenze della cultura del lavoro estrema che c’è in Giappone: persone che si addormentano sui mezzi pubblici, addirittura per strada e che col passare degli anni si ammalano mentalmente, fino ai casi estremi di morte da superlavoro. Nella lingua giapponese esiste una parola che significa letteralmente “morire di superlavoro”: karoshi. Le principali cause per questi tipi di decessi sono infarti ed ictus dovuti allo stress. Poi ovviamente c’è anche il suicidio da aggiungere, spesso causato dalla perdita del proprio lavoro o da errori imperdonabili che recano danno o disonore all’azienda.
Mediamente un lavoratore giapponese inizia a lavorare la mattina presto e rimane in ufficio anche fino dopo le 21.00. Molti non vengono nemmeno pagati per fare gli straordinari. In Giappone spesso non sono previsti: se tu o i tuoi colleghi avete del lavoro arretrato, siete una squadra e dovete lavorare insieme fino a quando non sarà tutto completato.
Inoltre, mediamente, i giapponesi hanno pochissimi giorni di ferie all’anno e molti non hanno nemmeno il congedo retribuito per malattia. Il che significa che devono usare le ferie per stare a casa quando stanno molto male, altrimenti mascherina e si va al lavoro anche con l’influenza. Inutile dire che questo stile di vita è molto sfavorevole all’idea di mettere su famiglia. Le donne che vogliono avere figli, pur mantenendo una propria carriera oppure gli uomini che vogliono avere il tempo di vederli i figli, dovrebbero scartare l’idea di vivere e lavorare in Giappone purtroppo…
2. Sessismo e carriera
Il Giappone si classifica ogni anno come uno dei paesi al livello più basso nel rapporto sulla parità di genere. Attualmente, è al 120′ posto su 153 paesi. Questo bruttissimo dato ha riscontro soprattutto in ambito lavorativo. (L’Italia è al 76′ posto, non è messa molto meglio). Un numero ridicolmente piccolo di donne occupa posizioni di potere politico e aziendale in Giappone. Pochissimi CEO, manager e membri del governo sono donne. La causa principale è ovviamente la cultura del lavoro che ho descritto sopra, impossibile da conciliare col prendersi cura della famiglia e della prole. Ma non solo, è colpa anche di alcune norme sociali obsolete ma ancora molto radicate nella mentalità giapponese.Alcuni esempi:
“La donne del tè“: nelle aziende giapponesi una persona di sesso femminile deve portare il tè ogni mattina ai maschi con grado gerarchico lavorativo più alto. Esistono poi donne assunte solo per “illuminare“ l’ufficio ma che non hanno alcuna reale responsabilità. A queste spesso viene chiesto di lasciare il lavoro dopo essersi sposate o essere rimaste incinte. Oppure quando sono considerate troppo vecchie e quindi non risultano più un bello spettacolo da guardare per gli uomini… che immane tristezza.
3. Collettivismo VS individualismo
Una società collettivista è quella che mette il gruppo davanti all’individuo. Una società individualista è l’opposto. La maggior parte delle società occidentali, compresa la nostra italiana, sono individualiste. Molti paesi del Sud America e dell’Asia orientale invece sono collettivisti, cioè si concentrano sul rendere il gruppo felice a spese del singolo individuo. L’individualismo e il collettivismo non sono né buoni né cattivi, non c’è un meglio o un peggio, anche se si possono delineare alcuni pro e contro di ciascuno.